Sogni coaguli fra le pieghe

Teste tagliate come una torta, perpendicolarmente, ad altezza del naso; vedevo il vero viso d’osso riemergere come punte d’iceberg nel mare di spugna rossa. Era un sogno di stanotte. 

Non so bene cosa mi avvolge, a volte mi sta stretto, altre penzola a terra. Il mio corpo non ha mai la taglia giusta. 

Mistero: è l’aria che separa me dal mio corpo e il mio corpo dallo spazio vivo d’azione. L’inadeguatezza è il mistero. L’uomo è tale solo in esso. 

Se non scrivo, e lascio il mio abito libero di scuotersi al vento, ciò che vivo non ha consistenza; se invece mi concentro, indosso ogni spazio vuoto delle sue pieghe, ecco che la realtà assume tridimensione. Agito e scolpisco un luogo esterno, il caos è più comprensibile, le strutture intermittenti sorreggono la percezione. Tutto è chiaro, nessun simbolo, nessuna morale, nessuna opinione: è struttura atarassica. 

Vedo meglio senza pelle, senza occhi. Il mio cappotto di spugna rossa si nutre di me. 

Da fuori pare che sia solo: tool: estensione stessa di estensioni varie, protesi alimentata da necessità altrui. Ed io, dentro al suo stomaco, mi nutro di malinconia, e di nostalgia, in una rosa di pieghe libere di aderire o meno.

La culla della malinconia dentro al cappotto è piacere. Forse ha una maglia fitta, un tessuto glauco, verde scuro e addormenta con calore, è come l’assopire stesso delle membra. 

La nostalgia invece è una patina dolciastra a tratti acida, è fermentazione di un sogno desto, gli occhi non occhi sono spalancati sull’invisibile. Ho nostalgia di una trasparenza che un tempo possedevo, quando non proiettavo ombra, quando nessuna reazione mi precedeva, e nessun contraccolpo mi seguiva.

Forse, un giorno, sarò uno scarto prezioso di briciole, resti e rigurgiti di sogni: ambra grigia. Maleodorante. Che nasconde un cuore radioattivo, come sulla spiaggia di nessuno.

Ore 17, sono a casa seduta al tavolo. Il vento non smette di levigare il mondo e il latte diviene denso nel mio ventre. Un sigillo è adesso in atto. 

In fondo alle tasche, fra queste pieghe, raccolgo un grumo di cose poco importanti: minuzzoli di intuizioni miste al sogno, le schiaccio e le accartoccio fino ad ottenere una piccola pietra calda. Se la terra divenisse pura neve allora lascerei questo sasso sprofondare, una schiuma incredula lo ingoierebbe. Lo lascerei, ma legato a un filo. Scaverebbe una galleria buia fino al ventre profondo del mondo. E là dentro scivolerebbe oltre, ed oltre, e il suo cordone altro non è che un tentativo lieve di creare relazioni, vive seppur invisibili, senza contatto, senza assenso, senza il tempo o attesa di risposta. 

La piccola pietra sarà riemersa in qualche luogo adesso, ed è libera di incuriosire chiunque le passi accanto – coloro io scrivo adesso – sull’altro lato del mondo, che siano liberi anche solo di indicarla, di coglierla o lasciarla levigare al vento.

Video creato da me, Sara Tonani, Zist (musica), Sonja Pfenningbauer (performer), Amelie Herm (performer).


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31 risposte a “Sogni coaguli fra le pieghe

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  2. Ciao! Passo per la prima volta.
    Mi piacciono queste metafore, legate strette tra loro, seppure ammetto mi restano un po’ faticose. Solo colpa mia, mente semplice.
    Andrò a leggere altro di tuo, in futuro.

    • Ciao! ti ringrazio molto.
      A volte le cose sono come appaiono, senza significati difficili o misteriosi da estrapolare :)
      qui è tutto molto più semplice di quanto pensi, a presto!

  3. Devo dire la verità? ho notato ripetitività e sbuffavo leggendo. Nel mondo c’è dell’altro oltre ai propri incubi, cercati e accarezzati! Ci sono eventi drammatici là fuori e problemi di sopravvivenza per milioni di persone. Insomma uno sguardo sul mondo oltre che al nostro ombelico non guasterebbe. E poi la bellezza ha anche tonalità chiare, terse, azzurre.

    • Grazie della tua onestà, ma mi stupisco del fatto che tu non abbia ancora compreso questo posto, qui dentro ci troviamo in una bolla sospesa nel sottosuolo, l’attualità là fuori non entra, le mode, i contenuti acchiappaclick non filtrano nemmeno. Forse qualche eco di ciò che succede aldilà si proietta in modo inconscio, ma fondamentalmente non può entrare. È un posto in cui si esplora l’io, non necessariamente il mio, ma l’io potenziale di chiunque. Forse questo testo è stato un po’ frainteso, oltre ad aver già ribadito che ciò che viene pubblicato in questo blog non è necessariamente autobiografico e se lo è probabilmente appartiene a diverse versioni di me stessa che immagino prive di raziocinio e affettività.
      La bellezza inoltre esiste solo negli occhi di chi la contempla, a presto.

  4. … il Sommerso, ora Riemerso… visibile agli altrui occhi, per chi ha occhi che riusce a vederlo… Complimenti a tutta la TRIBU’ che ha collaborato alla Video/Performance…

  5. Ciao Rebecca :-)
    Per me uno dei tuoi scritti più belli, almeno tra quelli pubblicati di recente. Così fragrante e profondo, schietto e anodino.
    All’inizio avevo sorvolato lo scritto (non amo chiamarlo “racconto”, è limitante) e guardato solo il video, per pigrizia (sorry), e a proposito, che dire del video se non wow? È un video colto, con dei rimandi, ma anzitutto è una “cosa” presente a se stessa, dotata di vita propria, e per questo, legata al passato, partorisce futuro. Ma il racconto, per me, è persino più bello, mi ha turbato la sua bellezza, quindi grazie :-) L’ho voluto rileggere per fissare in me ogni sua parola, ogni sua immagine.
    Penso che ogni tuo scritto sia una di quelle piccole pietre calde nel ventre della terra, e “noi” (noi?), io ad esempio, una di quelle tante relazioni, vive seppur invisibili, senza contatto, senza assenso… peccato conoscersi solo da questa distanza, il lusso della nostra solitudine, una distanza perfetta in sé, ma che ci rende appena troppo casuali, numerici l’uno all’altra, per questo non può sostituire, non potrà mai, il mistero dell’incontro… chissà…
    Personalmente non amo indicare, piuttosto osservo e desidero intensamente con lo sguardo… camminando lungo la spiaggia di nessuno (ogni spiaggia è spiaggia di nessuno), il mio sguardo è un’intensità silenziosa che ama senza toccare, lasciando le cose dove sono, già scritte ma senza traccia di me, salvo nell’aria… per questo lascio al vento la tua piccola pietra calda…
    P.s. Ho avuto qualche problema tecnico a pubblicare questo commento, se ti dovesse apparire dupli o triplicato, perdonami, e cancella le ripetizioni ovviamente :-)

  6. Riconosco di essere stato invadente con il mio commento al tuo ultimo testo. Me ne scuso. Sono convinto che difendendo il tuo lavoro difendi te stessa e la tua libertà d’espressione. Credo che ciò che viene alla mente e al cuore di un artista vuole fortemente uscire veicolato dalla virtù creativa dello stesso, il quale concede a quel contenuto che costituisce parte ormai del suo essere di prendere posto come “evento” nel reale. Esso si “oggettivizza” e diventa osservabile, misurabile, criticabile dai pochi o molti lettori che lo leggono e interpretano in relazione alla propria sensibilità. Si crea un magico “circolo ermeneutico” dice Gadamer, per cui né il testo né il lettore è quello di prima: sono cambiati entrambi.
    Hai ragione quando stai lontana dalle mode e dai “si dice” o, peggio, dalle chiacchiere. Anch’io sto ben lontano dai social e oltre al mio sito che mi tiene legato alla rete globale di Internet, non ho altre finestre mediatiche cui affacciarmi, neanche Facebook a cui non sono registrato.
    Bisognerebbe dunque affrontare l’annoso problema della libertà di critica del fatto letterario e della libertà d’espressione “ora e sempre e comunque”: ti risparmio l’inevitabile “papello”. Sto alle tue parole, a ragione, piccate: non credo che la dimensione inconscia sia il frutto delle azioni, scelte, relazioni, scacchi esistenziali che appartengono alla sfera individuale soltanto che vive dunque come in una “bolla sospesa nel sottosuolo”. Io, che sono stato un apprendista stregone della psicoanalisi e dell’antipsichiatria in voga negli anni Settanta, credo che più che Freud avesse ragione Adler e Fromm e con loro i Francofortesi, a sostenere che l’Io individuale è il frutto delle sue relazioni esterne, di fattori economici e politici, di convinzioni religiose piuttosto che filosofiche ed etiche. L’io vive e gioisce e subisce cadute e sconfitte e dunque si forma grazie ad eventi storici che caratterizzano la sua vita nel suo presente temporale, anche se proclama di preferire l’oscurità del sottosuolo al cielo terso del mattino. Scusami ancora se nel mio commento non ho rispettato la tua libertà di esprimerti e di creare, come sai fare del resto, egregiamente.
    Con amicizia, cordialmente,
    Alfio

    • Sono d’accordo con tutto quello che scrivi e ammettendolo mi contraddico un po’. Quando ho scritto che l’eco “del reale si proietta in modo inconscio” volevo intendere in parte anche questo. Ci provo a scoprire (o scolpire) un io puro immerso nel sottosuolo, avvolto dalle sue turbe innate, tuttavia l’eco esterno, i suoni ovattati o le grida lontane di tutto ciò che accade fuori inevitabilmente e inconsapevolmente lo toccano. Lo so ma non voglio ammetterlo o almeno preferisco che siano gli altri a ritrovare un po’ della nostra contemporaneità dentro ciò descrivo

      (Non sei stato invadente, anzi mi hai dato modo di riflettere molto, ma ammetto di essere molto gelosa del mio spazio e del potere che posso esercitare su di esso, visto che è l’unico luogo di tutta la mia vita in cui posso essere libera, indipendente, disobbediente a qualunque cosa)

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