Nella cruna rossa

Un ago scomparso.

Mia bisnonna ne aveva uno, svanito dentro il palmo della mano mentre lisciava le lenzuola. Si era conficcato con tale velocità che non vi era stata traccia di sangue, né era rimasta una capocchia esterna da cui si potesse tirarlo; aperta la mano era affondato dentro, tutto dentro, come un animale smarrito. Nel fondo del suo polso. E fuori un minuscolo forellino rosso. 

Lo spavento era stato tale che, partito dal palmo aveva inondato le vene con una scarica di paura; in poco tempo tutti i fluidi del corpo, dei suoi seni, si erano intossicati, lasciando morire il figlio di otto mesi che stava allattando. Si chiamava Immacolata, la nonna con l’ago conficcato nella mano. E ancora vedo quella cruna nel buio, sospesa tra tendini arrugginiti e l’incartocciarsi della pelle di carta.

Nessuno era riuscito a tirarlo fuori, ed era incastrato così bene che pareva parte stessa del suo corpo.

Dopo pochi giorni già non doleva più, e anzi la mano funzionava come prima, seppur con qualche strano prurito. Diceva che era svanito, che si era trasformato in scheggia di carne, oppure, in un’ipotesi ben più preferita, che navigava nei tunnel bui del suo corpo per sostare laddove vi fossero delle falle, dolori o strappi nel tessuto. Ricamava sui dolori e imbastiva i pensieri come una trapunta, col filo naturale che abbondava fra tendini e muscoli; il suo corpo poi non si opponeva affatto agli interventi dell’ago vagante, eccome se si lasciava rinnovare, suturare, infiorettare sui dubbi, ornare le tristezze. 

L’ago è ancora là, immagino, fra l’aridità del suo corpo che non c’è più, nessuno glielo aveva tolto e lei lo aveva reso parte della sua sopravvivenza. Eppure ce ne sono ancora molti, di aghi che esplorano il rosso delle viscere, ma stavolta ereditati – innati – nella pelle, come se la sventura di Immacolata avesse modificato il bagaglio genetico delle generazioni successive. 

Colgo la mia mano e nella rotazione del polso si spande uno strano prurito. L’ago, mi dico. Vivo e formicolante nel sentire nascosto, nel sentire caldo che si strappa qua e là, nel tepore di emozioni sfrangiate, a riparare quegli spessori che la vertigine dei giorni consuma.

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40 risposte a “Nella cruna rossa

  1. La stessa cosa era successa a mio padre. Però nel suo caso hanno dovuto operarlo perché l’ago, rimasto dentro un giubbotto appena acquistato, s’era conficcato nell’ascella e stava andando verso il cuore.

  2. Un ricordo così meritava un racconto, sicuramente. L’atmosfera narrativa che gli hai dato di addice. Eccome se si addice! Ho molto gradito, brava.

  3. I brividi che mi ha trasmesso l’immagine non mi ha allontanato l’idea di leggere questo racconto, un ricordo pungente al punto giusto. Veramente bello, complimenti!

  4. Hai una capacità di utilizzare le parole più che per esprimere, per suscitare sentimenti ed emozioni in chi legge, straordinaria. Saresti una grande autrice di canzoni…magari lo sei già e io non lo so :) in ogni caso, complimenti davvero. Smuovi.

  5. Il bambino nel racconto secondo me stona , è un’episodio molto cruento che non si può liquidare con tre parole. Si mischia un racconto che potrebbe essere sadomasochista come il capezzolo trafitto con la morte del bambino che sposta su un piano di pazzia .

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