6 risposte a “Sogni lucidi #2 Personaggi onirici

  1. Da: Germano (il fu un ragazzo di provincia)
    A: Rebecca di Amarna
    Hai gli occhi egizi. Li contorna la stessa linea nera, continua, sinuosa. Il tuo volto è di Amarna, familiare a quelli che ho visto, alcuni mesi fa, al Neues Museum di Berlino. Discosti dall’idea consueta che si ha di quell’arte, canonica e stilizzata, i volti di Amarna dimettono il simbolismo più marcato per introdurre nel modello i dettagli di un volto reale: osservandoli, non si può non pensare che quelli fossero veramente i loro volti, a tal punto l’esito è individuale, intimista, emotivo persino. Il duro basalto vibra d’un moto sottile e diffuso, un’incandescenza di luce radente, non portata, ma propria. Il senso stesso della carne è restituito nell’aggetto generoso delle gote, nella fronte ampia e soda, nella trama del derma, che il tempo ha giocato a svasare, rilevandone i singoli pori, e nei ricolmi bulbi oculari, e nelle labbra, “turgide incoscienti”, che non mancarono di stupire la fantasia più sensuale di Bacon. Una rappresentazione così vivida, che registra così fedelmente il soggetto, da far credere, quasi, di filmarlo, così come tu riprendi te stessa, raccogliendo la tua figura in una sponda aderente, come se lo schermo emulasse, in formato verticale, la cornice d’un sarcofago, o una teca trasparente, a sagomare la tua vivente presenza, incastonandone ritmo e respiro.
    I volti del periodo di Amarna hanno l’aria di un’eresia non appena li si affianca al resto della produzione egizia, col suo alto grado di astrazione spesso attraversata da una tensione deformante, come se il defunto nella tomba, il trasfigurato nel luogo d’iniziazione, venisse sottoposto a una forza carsica d’anamorfosi che lo strappasse alle sue stesse sembianze, come se il sacerdote del rito funebre agisse in veste di mistico macellaio, addetto a spartire l’integrità del corpo nel nuovo ordine delle disgiunte membra spirituali: ib, ka, ba, ren, shut, akh.
    La spiritualità egizia era codificata in un’articolazione così fine da risultare, il più delle volte, indecifrabile ai suoi stessi contemporanei, custode precoce d’un’alterità già allora assoluta, inaccessibile: Erodoto ne era così contrariato da affermare che gli egizi facevano tutto alla maniera opposta degli altri popoli (forse anche loro mordicchiavano carrelli?). Le loro credenze, in aggiunta, si aggiornavano col tempo, aggiustandosi a nuove circostanze di vita, apparendo quasi immemori delle precedenti, e, a un osservatore esterno, in aperta contraddizione. All’inizio, ad esempio, in era arcaica e predinastica, gli egizi seppellivano i propri cari nella nuda terra, senza curarsi di preservarne i corpi. Solo più tardi divennero gli egizi che noi tutti conosciamo, con l’ossessione della morte, dell’imbalsamazione… e della scrittura! Un delirio geroglifico, eretto ad apparato, con lo scopo di esorcizzare le forze occulte del creato, pregando incessantemente per la propria salvezza. La rete endemica di quei segni tormentava l’intera superficie delle rappresentazioni, passando di figura in figura ciecamente incurante degli sbalzi peculiari di ciascuna, imponendo equanime la grafica del suo inciso, e tatuando l’aria stessa della sua firma. E certo li sognavano, gli apparivano quei segni, alle porte del sogno, con rivelazioni che li turbavano, e invaghivano, del loro stesso terrore, a cui da svegli si prostravano, religiosamente timorati, ma non senza una segreta, complice riconoscenza, avvertendo rigenerato, e rifluente in loro, il vigore stesso di quelle visioni. La primavera del sogno era loro, e l’ossessione d’una fine incombente alimentava insaziabile la sete d’immortalità: nessuno la desiderò con altrettanto ardore. Amavano la vita così intensamente da volersi stringere ad essa col sigillo eterno della sacra Scrittura: era così alta la missione che le affidavano, così alta l’illusione… e noi, oggi, ci si illude solo che serva a “comunicare”, questo vecchio alfabeto, che non racchiude più nemmeno un’arte… ma perché dico così? Dovrei subito deporre la mia amarezza, smentita all’atto stesso di porsi in questo luogo, tana a una magnifica strega, dalle mani ornate d’ignote costellazioni, da lei stessa tracciate, che dalla punta delle falangi secerne e intreccia code di cometa al frascame silvestre del suo notturno ricamo.
    Senza corpo, lo spirito va incontro a una seconda morte, irreversibile e terminale: di questo gli egizi si andarono sempre più convincendo. Lo spirito ba, in figura di jabiru (la cicogna africana) con testa antropomorfa, si librava sul proprio sarcofago stendendo a ventaglio le sue ali eleganti dalle sgargianti piume multicolori. Così lo spirito continuava a soggiornare sulla terra, vivendo in forma rinnovata con immutata fedeltà, innamorato degli stessi affetti, che tornava a visitare a mezzogiorno, nella vertigine della Controra, quando l’ombra non s’opponeva più tra vivi e morti, e lo spirito, potente, abbagliava gli sguardi nei riflessi del Nilo.
    Una volta concluse le sue aligere peregrinazioni, il ba sentiva di nuovo il bisogno del suo corpo d’origine come l’uccello del ramo quand’è di ritorno dal volo. Bisogno di posare, e riposare, indugiando nella tregua del nido corporale. Così “la casa della morte” serviva alla vita dello spirito, affinché continuasse, in sorvolo sulla scena del mondo, a vagare per sempre.
    Non so come, ma in qualche modo, per strani sentieri, ho finito per attribuire un pensiero, che credo essere mio, a quegli strani egizi: la notte, mentre dormiamo, gli spiriti ba volano liberi da un corpo all’altro, si scambiano di sedi, si incontrano, si attraversano, e così generano i sogni. I sogni, allora, non sono altro che la traccia di quelle migrazioni notturne, l’aria smossa da quell’ali incomprensibili e leggere… ma se noi, sognando, ci incontriamo in spirito l’uno nell’altro, e la creatura alata che ci abita dentro, varcando la soglia, per un poco esce di gabbia, chi è che sogna quello stormo immenso, di sogni mutevoli e fuggenti, che appaiono e scompaiono, come mai fossero stati, ai raggi algenti della Luna? Non noi, non loro: è la Notte a sognare, è la Notte, che il volo sfiora nel profondo del silenzio, in un tempo lontano dalle ore, che sosta solo per gli assenti: gli assenti che sognano, gli assenti che amano…
    P.s. Perdonami se ho troppo divagato, ma non puoi biasimarmi: è tutta colpa dei tuoi occhi…

  2. Pingback: Sogni lucidi #2 Personaggi onirici – El Noticiero de Alvarez Galloso·

Scrivi una risposta a Un cielo vispo di stelle Cancella risposta