Cosmogonia del punto

Non è facile parlare del punto .

Lo hanno messo così in basso, a interrompere il discorso

È un blocco, un taglio netto al pensiero

Dovremmo riposizionare . in un altro luogo, più in alto, più al centro

Adesso lo incastro qui in mezzo, osservalo per qualche minuto prima di continuare:

                                                                      

 .

. è anche il centro del tempo

Ma prima di parlare di tempo devo raccontarti una piccola storia

Quella che comincia col bosco del Paretajo, vicino casa mia

Lo attraverso con uno scopo: trovare una domanda onesta (da porre a me stessa in sogno)

Mentre mi dirigo verso quello dovrebbe essere il punto di partenza, d’un tratto incontro + 

Un’intersezione dove il mio sentiero attraversa il letto arido di un ruscello

In questo luogo sento come un’esitazione, un bisogno di marcare l’incrocio con una pausa

Questo . che interseca le due vie – quella dell’uomo e quella dell’acqua – non indica tanto una posizione nello spazio, quanto un concetto dinamico a me ancora sconosciuto

Proseguo per una ventina di minuti e poi scelgo una deviazione, un piccolo sentiero secondario, di quelli percorsi solo dalle bestie 

La vegetazione è in pendenza e voglio allontanarmi il più possibile da potenziali incontri umani

Improvvisamente scivolo sul letto di foglie

Nel tentativo di aggrapparmi ad un albero, quasi mi trafiggo un braccio sopra un ramo spezzato

Il dolore immenso diviene una sorta di gancio e il mio corpo si inchioda in un altro . aspecifico dello spazio; un secondo marcatore dunque, ma stavolta ha a che fare con una circolarità, chiara e netta

Sento che questo è il centro di qualcosa

Mi guardo intorno, la mano sinistra preme sulla ferita del braccio destro, e d’un tratto ho l’intuizione: mi trovo all’interno di una dimensione sferica, quella del tempo stesso che avvolge la mia presenza; d’altronde bastano due . . per determinare una sfera se uno dei due è il centro

È una sensazione praticamente immediata

Chissà perché, a volte, è proprio il dolore improvviso ad agganciarci alla verità 

Forse perché, per l’inconscio, è una crepa: una via di fuga temporanea dalle strutture calcificate della coscienza

Il dolore che provo fa emergere la domanda che tanto cercavo: 

ho già vissuto qui?

Questa è la domanda. È perfetta in questo sentire circolare

Comprendo che il tempo somiglia più a 〇 che a 一

E d’ora in poi vorrei chiamare il centro del tempo 〇: Punto C

Proseguo, scendendo fino al letto arido del ruscello 

Lo percorro con fatica, finché non riemergo, inaspettatamente, nel punto di contatto col primo sentiero: lo stesso luogo in cui avevo esitato all’inizio

Così, in qualche modo, mi ricongiungo a me stessa, qualunque sia la versione del tempo a cui essa appartenga

Chiudo involontariamente un percorso 〇 

In questo primo . di intersezione + è come se mi fossi già incontrata, quando avevo deciso di soffermarmi, marcando con una sosta del corpo

Come se nel presente avessi sentito il futuro del mio ritorno

Che non ha poi così senso definire quale me è precedente o successiva, chi è arrivata prima e chi dopo: nel primo . coesiste sempre l’inizio e la fine di un percorso circolare

Ecco perché il tempo ci appare erroneamente lineare: se assumi il punto di vista di un . lungo la circonferenza, la traiettoria si manifesterà rettilinea finché non raggiungi la fine, che coincide anche con l’inizio (sempre che tu te ne accorga), ma se assumi il punto di vista di C, il centro, puoi finalmente contemplare la cosmogonia dell’essere temporale così com’è, sferica come 〇

Alla fine di questa storia, nel secondo marcatore C, non avevo trovato solo la mia domanda, ma anche il centro di me stessa 

C corrisponde infatti alla parte svestita e più onesta di me

Riassumendo: se C sta dentro il tempo 〇, allora ☉ è il segno che semplifica il mio esistere in relazione al tempo

E ☉ da sempre rappresenta anche il Sole

E se aggiungiamo nuovi strati concentrici a ☉, come a rappresentare un movimento di estensione e contrazione del tempo intorno al suo centro, otteniamo un antico petroglifo sacro, che parla di cicli e solstizi

Ho già vissuto qui

La risposta dunque è sì

Vivo continuamente nella dimensione esperienziale di 〇, col corpo, perché il tempo si espande ed io mi trasformo, crescendo e decomponendo con lui

Ma non sono io ad attraversare davvero il tempo, è lui che si comprime e si espande a partire dall’origine di me, da C

Il tempo sembra respirare, ma è C che trattiene e respinge, in modo equidistante, i suoi confini

Quindi viaggiamo nel volume di 〇? Certo, ma là viviamo solo di transitorietà, direzionalmente, tra causa ed effetto, attraverso l’invecchiamento, dunque l’organico, che è bellissimo, perché si muove, brulica, ci agita

Ma è in C che risiediamo nudi, mentre col corpo viviamo il respiro del tempo

E dobbiamo pur svestirci di nuovo, alla fine, dopo il sogno organico della vita

Cos’è davvero il centro C?

C è il punctus animae, dove Dio e io si incontrano, nella sintesi apostrofica: d’io

C è il sé immutabile come l’Ātman

C potrebbe essere anche una monade trascendentale, o un frattale dell’universo olografico

C è l’unica cosa immutabile di me, di tutti; solo per questo non può che esistere

E ciò che lo contiene, il corpo e la psiche, sono involucri organici che si trasformano, ma C non si trasforma, perché è astratto, proprio come l’interpunzione .

C non ha nessuna funzione di interruzione o taglio: piuttosto è origine della pulsazione sferica spazio temporale 

Come un sasso lanciato in acqua, in C non esiste il tempo perché è da lì che il tempo si dispiega,

dilatando,

contraendo

2 risposte a “Cosmogonia del punto

  1. Pingback: Cosmogonia del punto | Racconti della Controra | HyperHouse·

  2. A volte il punto non chiude, respira.
    Non è un muro, ma un battito dell’universo che si ricorda di esistere.
    Mi piace pensare che dentro ogni punto ci sia un centro che ci contiene, un C che non si muove anche quando tutto intorno implode.
    Forse non è il tempo a scorrere, ma noi che ci pieghiamo attorno al suo respiro.
    E ogni volta che tocchiamo il dolore — o la verità — lo facciamo nello stesso punto: quello in cui ci eravamo già incontrati, solo un po’ più nudi di prima.

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