Concavità

Ti ho perso sotto un’onda. 

Un attimo dopo camminavo fra i corridoi di un supermercato – taglio netto, mancano pezzi alla mia memoria, ma non me ne curo – guardo gli scaffali, alcuni sono crollati l’uno sull’altro creando aperture di forma triangolare. Percorro le file di alimenti, non mi chiedo perché tutto sia sottosopra, so che ho bisogno di qualcosa, ma non so decidermi. Forse l’aceto balsamico: ne prendo una boccetta fra le mani, il liquido nero sangennariano si anima come per miracolo, lo osservo ungere le pareti, brillante intreccio di lingue liquide, ma subito la rimetto al suo posto. C’è qualcosa di sbagliato, una mancanza profonda nell’aria: un buco materiale fra i pensieri. 

Fra gli spazi vuoti delle bottiglie riconosco una sensazione. Una concavità scura. Sei tu, che manchi, ma non ricordo il tuo viso. Il peso di una tristezza incomprensibile mi comprime le membra; il mio avanzare fra gli scaffali si riempie di un malessere sempre più doloroso man mano che la consapevolezza si fa più viva: non tornerai mai più. Ma qual era il tuo nome? Non lo trovo in nessun angolo. Mi soffermo sul banco della carne. C’è la tartare con crema di tonno e capperi e altri tranci marinati, secchi, incelofanati. D’un tratto ricordo un numero, ti scrivo, “sei vivo?”.

Quando riemergi dal mescolino del maremoto? Mi chiedo senza scrivere.

Ma è sbagliato. Mi risponde qualcuno “sono contento di sentirti”. Ho sbagliato persona. 

Continuo ad indugiare sui filetti; come ho potuto dimenticare? Mi concentro sul malessere nel tentativo di ripercorrere la memoria grezza. Con grande fatica individuo l’onda sconfinata, mi afferrò a lei, poi il ricordo si fa più semplice, scivolo su di essa, non posso più volare, ero il tuo animale, o tu il mio, scossa fra piccole e grandi creste ci provo, ma non riesco a riemergere, sono talmente impregnate le mie ali rosa di pipistrello. C’è un corpicino inghiottito e una zattera che vanno a fondo. Forse posso ancora afferrarti e riaffiorare insieme. 

Taglio netto, i pensieri sgranati si interrompono. Eccomi qua, di nuovo. File di bottiglie di aceto nero davanti ai miei occhi. Il passo si fa più pesante, è il carico di un dolore mai provato prima, un sedativo di malinconia che si annida soprattutto dietro lo sterno. Non ti vedrò mai più, e nel realizzarlo il mio peso si addensa verso il centro della terra.

Stanno per chiudere, sono già le 20:17. Il commesso al banco ha perso la pazienza. Mi decido frettolosamente per la tartare con crema di tonno e capperi e lui ne riempie sbadatamente una ciotola di vetro. Sono sollevata di poter mangiare qualcosa. Me ne vado lentamente. Chi eri? La tua forma continua a scomparire, stringo la vaschetta fra le mani, aumenta una gravità sconosciuta che mi costringe a strisciare.


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19 risposte a “Concavità

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