Morto? – rispose Tai.
Clinicamente dico, ma per meno di un minuto, sì – sorrise Dioniso.
Nel frattempo si erano fermati, il parco era silenzioso, solo qualche scricchiolio di foglie in cima agli alberi. Tai lo scrutava da capo a piedi come per avere la prova della sua esistenza. Era morto, sedici anni fa, anche se per pochi secondi e adesso si trovava lì, vivo, e cresciuto, davanti ai suoi occhi.
Ho avuto un ictus e alcune zone del mio cervello sono rimaste danneggiate. Non ci crederai, ma non ricordo molti anni della mia vita successivi al 2005 – avevano ripreso entrambi a camminare, lentamente, guardando verso terra – allo stesso tempo però riesco ad accedere a dettagli della mia infanzia che prima erano inaccessibili, ad esempio ricordo la mia nascita, terribile. In realtà è come se avessi i contatti danneggiati, si attivano in modo imprevedibile, a volte accedo normalmente a quei ricordi, a volte annego nel nulla totale – alzò una mano per mostrare alcune scritte tatuate fra le dita. Erano numeri di telefono e indirizzi – può capitare che abbia una crisi, mi succede almeno una volta ogni tre mesi, in cui ho il vuoto, ho difficoltà a ricordare anche solo il mio nome. Per questo non posso guidare la macchina o avere un lavoro con grandi responsabilità.
Potenzialmente potrei ricordare tutto, ma allo stesso tempo nulla. Sai, è strano, ma qualche volta non ricordare affatto è quasi piacevole. È come vivere dentro un nuovo me stesso.
Tai era incredulo, ogni tanto scorgeva un velo di ironia nel suo modo di raccontare la sua situazione, tipico di lui. Ogni astio era scomparso, provava dispiacere ma allo stesso tempo molta curiosità. Aveva mille domande da fargli, ma lo lasciò continuare.
Per questo motivo sono “scomparso”, come dici te. Per un anno i miei si sono trasferiti a Milano, per stare vicino alla clinica in cui facevo riabilitazione. Sinceramente non so perché non abbiano avvisato nessuno, oppure perché nessuno abbia avvisato te, penso che tutti avessero altro a cui pensare Tai. E poi lo sai che non ho parenti. Tutti i miei nonni sono morti prima della mia nascita, i miei genitori sono entrambi figli unici. Chi avrebbe potuto contattarti?
Sono passato ogni giorno da casa tua, per almeno sei mesi – lo interruppe Tai – ma era sempre vuota. Al telefono non rispondeva nessuno. Ti ho lasciato dei biglietti e nessuno è venuto a prenderli – mentre parlava fu sorpreso da un ricordo inaspettato. La busta di carta che aveva lasciato sulla finestra di Dionisio al piano terra di casa sua, ogni giorno era passato di là per vedere se era stata presa. Dopo settimane era gonfia e rugosa, le scritte esterne sciolte sotto la pioggia. Dopo tre, quattro mesi giaceva rinsecchita accanto ad un albero, a pochi metri dalla finestra. Dura e accartocciata, impossibile da aprire. Dentro aveva messo la sua carta magic del fulmine, “Lightning Bolt”, che si era sempre rifiutato di cedergli. Aveva deciso di donargliela una volta sparito, come pegno per averlo indietro.
Mi dispiace Tai, di quel periodo non ricordo niente eccetto la mia esperienza di premorte.
Hai detto, premorte? – lo interruppe.
Sì, almeno credo. Più che premorte è stata un’esperienza di morte effettiva, seppur breve. Studio molto a riguardo, ma non capirò mai se ciò che ho visto era “reale” o solo frutto di un’autosuggestione. Credo di essere stato semplicemente in un altro posto – intendi una sorta di aldilà? – non saprei, spesso scandaglio le mappe su Internet per cercare luoghi simili a quello, per capire dove si trovi effettivamente, era un posto terrestre, geograficamente molto definito, con colline, vegetazione, il cielo era nuvoloso. Un posto in cui il mio corpo non era lì, anche se potevo percepire di occupare uno spazio e di essere trattenuto dalla gravità. Ero lì ma non lì, come un’ombra densa.
E c’era qualcuno con te? – Tai era incuriosito, credeva ad ogni singola parola di Dioniso, ormai fattosi piuttosto serio. Anche se erano passati sedici anni dalla loro ultima conversazione quella confidenza era come se li avesse riportati a scuola, non era più uno sconosciuto, poteva fidarsi di lui completamente.
No, non c’era nessuno, almeno non in quel momento esatto – esitò un attimo – a volte credo di aver sentito degli uccelli volare, era un posto concreto, ne sono sicuro, e la durata in cui sono rimasto lì mi è sembrata tre volte superiore rispetto ai secondi in cui sono mancato all’ospedale. Credo di averci passato almeno cinque minuti, ma non ho potuto fare altro che guardarmi intorno, non ricordavo nulla del perché mi trovassi lì, chi ero. Non avevo alcun tipo di pensieri, o desideri, osservavo e basta. Mi sentivo pura presenza, un osservatore. Molti dettagli di quel posto adesso li ho stampati nella mente, la forma delle pietre, i ciuffi di vegetazione. Ho diversi disegni a casa.

Per quanto riguarda l’udito invece ho la sensazione che quel luogo fosse strapieno di rumore bianco, come se sprigionasse il suono di qualunque cosa accaduta lì nel tempo. Col risultato che niente era percepibile singolarmente, ma tutti i suoni si trovavano all’interno di un fascio unico. Anche quello non so se è stato frutto della mia immaginazione. Se ti chiedi che senso abbia andare lì una volta morti, beh me lo sono sempre chiesto anch’io. Ho fatto diverse terapie “alternative”, specialmente sogni lucidi, per accedere a dettagli sempre più nitidi dei miei ricordi. Seguo anche molti forum a riguardo, e credimi che sono posti pieni di gente malata – sgranando gli occhi verso Tai – invasati totali! Ma ci sono persone che hanno avuto esperienze simili e sono riuscito a farmi qualche teoria pseudoscientifica tutta mia.
Tipo? – Tai fremeva per continuare quella conversazione. Aveva la mattina libera, sarebbe rimasto ore ad ascoltarlo. Si era ricreata una complicità che aveva completamente dimenticato. Come se entrambi avessero aperto una piccola finestra sopra il petto e avessero lasciato affacciare una versione di loro stessi molto precedente.
Perché non ci vediamo uno di questi giorni? Dobbiamo recuperare un po’ di cose. Ti racconterò tutto. Ora però devo scappare perché altrimenti arrivo in ritardo alla visita.
Va bene – rispose Tai deluso – dov’è che abiti adesso? – Tai, ma a casa mia! È nel solito posto, a Brozzi, siamo tornati a vivere lì dopo un anno, i miei hanno l’allevamento dei mostri, ti ricordi? Vivo lì da sempre e do una mano ai miei col lavoro.
Tai ebbe un sussulto, la stessa casa di quando erano bambini, non capitava mai in quel quartiere, forse volutamente. L’idea di rivedere quella casa un po’ lo spaventava. Il ricordo della busta rattrappita riapriva un buco nello stomaco. I mostri, così li chiamava da piccolo, era l’allevamento di insetti argentini che la famiglia di Dioniso aveva da generazioni.
I mostri! Oddio l’avevo completamente dimenticato, che tipo di insetti erano? – Scarabei dell’ambra bianca – giusto! Senti, scambiamoci i numeri, io sabato mattina vado col metal detector a perlustrare una zona verso Fiesole, a Montereggi, vuoi venire? Ho letto di una battaglia piuttosto importante fra Romani e Ostrogoti proprio lì.
Metal detector?! – Dioniso quasi urlava di gioia – è sempre stato il mio sogno. Sabato certo che vengo! – iniziò a correre verso i viali – ciao Tai, sono davvero contento di averti ritrovato! – urlò voltandosi un’ultima volta.
Tai lo guardò allontanarsi, un po’ frastornato. Piuttosto era lui che lo aveva ritrovato. Sedici anni, ma erano sempre stati nella stessa città. Non lo aveva mai cercato, neanche sui social. Eppure c’erano solo quattro chilometri fra le loro case. Rimase immobile qualche secondo, l’ultima ora era stata satura di informazioni. Bruno e gli alberi parabola, Dioniso tornato dal mondo dei morti. Un’euforia tutta nuova lo pervase.
Si sedette su una panchina, l’immagine di quel luogo in cui si era ritrovato Dioniso prendeva forma nei suoi pensieri. Sentiva il bisogno di approfondire alcune cose su Internet, altrimenti non si sarebbe dato pace per le successive cinque ore, a lavoro. Innanzitutto cosa erano i sogni lucidi?
Per sogno lucido si intende un sogno avuto in coscienza del fatto di stare dormendo, onde la capacità di muoversi in maniera deliberata entro di esso. Con la pratica, il sognatore “lucido” può arrivare ad esplorare e modificare le situazioni del sogno a proprio piacimento – diceva Wikipedia.
In pratica era possibile usare i sogni per accedere a informazioni celate dall’ inconscio. Un metodo di esplorazione del proprio cervello. Non era solo una questione di piacere, il poter fare qualunque cosa, una volta acquisita la lucidità, come attribuirsi poteri particolari, oppure fare sesso con persone desiderate. C’era chi usava il sogno lucido come terapia per curare i traumi o per ricordare informazioni importanti. Dioniso probabilmente la usava per cercare nuovi indizi attorno alla sua esperienza di premorte.
Una cosa molto interessante era che tutti i personaggi dei sogni erano in verità manifestazioni del proprio inconscio. E interrogandoli consapevolmente si poteva scavare davvero in profondità.
C’erano alcune tecniche molto precise per indurre il sogno lucido, dei campanelli d’allarme che potevano insinuare il dubbio di non trovarsi nella realtà. Guardarsi le mani, trapassarne una con un dito, guardarsi ad uno specchio, controllare l’ora, accendere una luce, ad esempio. Nei sogni le mani, così come i riflessi apparivano distorti, non familiari o sbiaditi. Le parole scritte spesso risultavano geroglifici illeggibili. Oppure i numeri su un orologio digitale cambiavano una volta distolto lo sguardo. Erano chiamati test di realtà. Scorrendo qualche forum Tai scoprì che i più esperti avevano tutti i loro metodi personali, chi si accorgeva di sognare grazie all’assenza di un particolare tatuaggio sul braccio, come una via di fuga per gli incubi. O chi semplicemente si accorgeva di sognare perché abituato a fare test di realtà innumerevoli volte al giorno.
Molti onironauti (così si chiamavano i sognatori lucidi) consigliavano vivamente di assaggiare il più possibile le cose intorno una volta acquisita la lucidità. Si poteva leccare le superfici e tenere memoria dei diversi sapori, morbidezze o ruvidità; erano informazioni importanti per l’esplorazione dell’inconscio.
Tai improvvisamente ripensò ad un sogno che lo aveva colpito molto qualche anno prima. Ricordava perfettamente quel sapore dolciastro, come di fegato di vitello, di un pezzo di carne prelevato dal suo stesso corpo, lo aveva cucinato sulla brace e poi servito ai suoi genitori per cena. A dire il vero di sogni strani, inspiegabili, ne aveva fatti molti nel corso della sua vita, ma non vi aveva mai prestato molta attenzione. Se si fosse esercitato nell’acquisire la lucidità avrebbe potuto anche lui indagare, trovare qualcosa di perduto dentro il proprio inconscio.
Il mondo dei sogni lucidi era qualcosa di inaspettatamente intrigante. Si decise che avrebbe iniziato subito coi test di realtà, li avrebbe provati tutti, ogni giorno, almeno ogni due ore. Se fosse riuscito a trovarsi cosciente dentro un sogno magari avrebbe potuto trovare una nuova paura, un nuovo dubbio, un nuovo ricordo, qualsiasi cosa, anche solo per il gusto di scavare.

Riprese a camminare, avrebbe iniziato il suo turno in negozio in meno di 45 minuti. Dirigendosi verso il centro, senza fretta, si lasciò sulla destra il giardino dell’Orticoltura, alcuni cani liberi abbaiavano in modo forsennato, notò che gli alberi cominciavano ad esplodere velocemente coi loro germogli, il primo verde primaverile è un colore veramente pungente, pensó. Mi torna alla mente quel giorno in cui, vicino alla loggetta, sono caduto di testa dentro una buca procurandomi una bella cicatrice sulla fronte, accanto alla tempia sinistra. Eccolo che lo vedo, laggiù, me stesso da piccolo che tiro un grido. Mio padre è in un bar con degli amici, ha lasciato me e Dioniso liberi di giocare da soli nel parco. Mi porto due dita sulla fronte per sentire ciò che rimane di quella cicatrice che, per qualche motivo che non ricordo, mi rende piuttosto orgoglioso. Il segno però non c’è. Mi fermo un attimo per tastare meglio, provo a specchiami sul vetro di una macchina ma il riflesso è troppo vago. I latrati dei cani si fanno più intensi alle mie spalle, un netturbino comincia a gridare in modo sguaiato. C’è qualcosa che attira l’attenzione di tutti. Una macchina improvvisamente inchioda.
Un cervo spaventato è appena uscito dal giardino dell’Orticoltura, dietro di lui alcuni cani. Le persone gridano di stupore. Il cervo attraversa la strada e in pochissimi balzi si è lanciato nel torrente Mugnone.
Uno sparo spacca l’aria, interrompe i suoni intorno. I cani hanno smesso di abbaiare, le persone accorse sono immobili senza fiato. Uno sparo, una gomma scoppiata, oppure un tuono? Non ne sono sicuro. È tutto troppo strano, c’è qualcosa di irreale.
Il pianto di un neonato rompe il silenzio. Sono preso da un dubbio, mi guardo le mani. Non somigliano affatto alle mie, le dita sono troppo lunghe, le unghie non sono definite. Con l’indice destro provo a trapassare il palmo sinistro. Ne sono certo.
Cosa è successo nel pomeriggio? Sono andato a lavoro, ho venduto circa quattro paia di scarpe, sono tornato a casa. È chiaro, sto dormendo. Mi trovo in un sogno, lucido.
Tai saltava di gioia, era riuscito a trovare la lucidità al primo tentativo. L’assenza della cicatrice forse sarebbe diventata il suo trucco personale. Avrebbe dovuto raccontarlo a Dioniso.
Giusto, Dioniso. Non era sicuro che fosse stato reale, l’aveva davvero incontrato quella mattina? Sì, decisamente, poi era andato a lavoro e aveva passato tutto il pomeriggio in negozio a fare test di realtà e a leggere articoli sul cellulare, di nascosto.
L’ambiente intorno cominciava presto a perdere colore. All’inconscio non piace la lucidità, lo aveva letto quella mattina, sapeva che non avrebbe avuto molto tempo, che la sua mente avrebbe fatto di tutto per indurlo ad un falso risveglio all’interno di un altro sogno. Si sentiva un po’ preso alla sprovvista, non aveva nemmeno avuto il tempo di pensare a cosa avrebbe potuto fare una volta lucido. Si guardò intorno ma fu sorpreso dal grido di un uomo che usciva di corsa dal bar di fronte. Tai lo guardò bene, era suo padre, ma un po’ più giovane. Gridava e piangeva, lo seguì, si stava dirigendo verso il torrente.
Una folla accerchiava il corpo esanime di un uomo steso sull’erba, colpito al petto probabilmente da un colpo di fucile, una macchia scura si faceva sempre più larga sulla camicia mimetica da cacciatore. Quell’uomo era sicuramente il cervo che poco prima era fuggito dal giardino. Suo padre lo abbracciava e piangeva sul suo corpo. Era disperato. Una donna si era fatta avanti e stava appoggiando due monetine sugli occhi del morto. Riconobbe una delle due, quella che aveva posato sull’occhio destro era un denaro di Lucca, una moneta d’argento del 1100 che aveva trovato in un bosco un mese prima. Si avvicinò e guardandolo da vicino lo riconobbe, quell’uomo a terra era suo nonno da giovane, non lo aveva mai conosciuto ma aveva visto molte sue foto, aveva la forma del viso molto simile alla sua, mascelle molto spigolose, zigomi pronunciati, era certo che fosse lui. Sapeva che era morto per un tragico errore durante una battuta di caccia, quando suo padre aveva 26 anni, ed era stato proprio il suo migliore amico a sparargli, un certo Cesare. Suicidatosi qualche anno dopo. Era una storia di cui nessuno parlava in famiglia.
Tai prese la mano di suo padre, lo guidò poco più in là, lontano dal chiacchiericcio della folla, lui respirava a fatica e sembrava non riuscire a guardarlo negli occhi. Tai sapeva che poteva interrogare i personaggi onirici, che erano occasioni davvero uniche, ma che doveva muoversi con cautela.
Babbo guardami, sono Tai – gli occhi di quel personaggio erano ricoperti da una patina bianca, vagavano intorno disperati, sembrava che non potessero vederlo. Tai si rese conto che tutto il suo volto cominciava a farsi meno definito, come se un velo di seta bagnata cominciasse ad emergere dalla sua pelle. Si allontanò da lui, spaventato, evidentemente non era così semplice parlare col proprio inconscio. L’ambiente intorno si faceva sempre più nebbioso, i colori perdevano le tonalità del verde ma conservavano quelle del rosso. Tai lasciò suo padre in disparte ormai nascosto completamente da un leggero sudario bianco. Si avvicinò al corpo del nonno, il sangue era quasi del tutto nero. Sul petto la ferita sembrava molto profonda. Senza esitazione infilò una mano nella fessura, tirò fuori una poltiglia scura, di consistenza gelatinosa, la esaminò per un attimo e l’assaggiò. Era fredda, leggermente salata.
La donna delle monete si avvicinò a lui, lo guardava fisso negli occhi, ma lo sguardo era particolarmente calmo, non traspariva nessuna emozione. Tai realizzò che era l’unico personaggio onirico in grado di sostenere il suo sguardo, era sorpreso. Nonostante fosse completamente lucido non aveva affatto il controllo di ciò che accadeva intorno a lui, e non voleva prenderlo, il sogno doveva fluire da solo. La donna si accovacciò lentamente, aveva un vestito chiaro di cotone, morbidissimo. Gli occhi di un azzurro irreale spiccavano sul mondo onirico ormai immerso in una nebbia rossastra.
Dove ci troviamo? – fu l’unica domanda che riuscì a porle. Lei rimase in silenzio, a pochi centimetri dal suo naso, dopo un lungo sospiro si guardò intorno furtiva, come per controllare che nessuno potesse vederla, si avvicinò al suo orecchio, sussurrando: “In un piccolo posto, solo pochi di noi”.

[Ho abbinato questo sesto capitolo alla mia recente esperienza video a Oslo. Maggiori info qui]
Sei bravissima davvero complimenti!
Hei grazie! 😍
Splendido, non è per niente facile trattare certi temi senza scivolare nell’orrido o nel grottesco, e tu ci riesci con estrema scioltezza ed equilibrio e tenendo sempre viva la tensione. Complimenti, Rebecca, e grazie.
Ahah grazie! Ho sempre pensato di essere un po’ troppo “orrida” in verità 🤣
P.s. sogni normali o sogni lucidi vengono da esperienze personali 😛
Il fatto che quei sogni derivino da esperienze personali non solo non sminuisce il valore del tuo lavoro ma, anzi, lo rende ancor più apprezzabile, perché non c’è cosa più difficile che trasformare il proprio vissuto in letteratura; chi scrive spesso pensa che basti rievocare certe vicende della sua vita per trasmettere a tutti le sue stesse emozioni, ma non è così, e infatti è rarissimo che un’autobiografia diventi grande letteratura, come nel caso di Elias Canetti o di Jesmyn Ward. E, quindi, complimenti supplementari.
Ciao di nuovo :-)
Alcuni pensano che l’idea di aldilà, quindi la religione, venga dalla “confusione” che in origine l’uomo faceva tra sogno e realtà… nei sogni comparivano i cari defunti ed ecco l’archetipo di aldilà… la parola confusione è un po’ equivoca, per questo l’ho messa tra virgolette… suona come un giudizio, io invece preferirei intenderla in modo più letterale, “fusione con”… non penso che la nostra distinzione o separazione o rimozione tra sogno e realtà sia più valida o più vera di quella confusione arcaica, anzi a dirla tutta sono tentato di pensare il contrario… la confusione armoniosa che tu stessa tessi e intrecci nella tua visione è il suo lato magico e misterioso…
Domanda, che ti pongo con sincero interesse ma che forse è indiscreta, se lo fosse ti prego di ignorarla: l’esperienza di premorte è personale come quella dei sogni?
Tutti noi, ogni notte, sperimentiamo un’autentica e personale esperienza di premorte…
❤
Complimenti molto brava :)
ti ringrazio 🥰
Ciao Rebecca. Sei un’autentica esploratrice dell’Io profondo e su tale terreno ti muovi bene. non temi insidie, anzi le cerchi e ti diverti perfino a giocare in dimensioni poste oltre la vita. Del resto è una costante del tuo narrare inoltrarti nelle tenebre del preconscio e negli abissi del subconscio. Tuttavia noto in questo capitolo una prosa “normalizzata”, quasi ti voglia avvicinare ai tuoi lettori senza impaurirli con azzardi sperimentali o enigmatiche fughe inseguendo le tue libere associazioni in un flusso di coscienza a cui è sempre difficile tener dietro. Personalmente approvo e apprezzo questa tuo cambiamento. Sempre che io non abbia preso un abbaglio!
Con stima e amicizia, Alfio.
Nessun abbaglio! Questo cambiamento è voluto, almeno per questa storia, che si protrarrà giusto un po’. Grazie come sempre ♥️